“Perché state facendo questo?”
“Perché ce lo avete permesso” (Speak no Evil)
Ci sono momenti della storia umana che solo l’horror può raccontare, e quello che stiamo vivendo è proprio uno di quei momenti.
Ce lo ricorda il grande maestro Stephen King nel suo ottimo saggio “Danse macabre” che colloca l’istituzionalizzazione e consacrazione dell’horror cinematografico tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, quando le ombre cupe dei totalitarismi e della guerra avevano dato forma e visione ai mostri americani firmati Universal e a quelli dell’inquietante filmografia espressionista tedesca.
“Speak no evil” in questo è esemplare, e non importa che la sua prima versione danese - olandese sia del 2022 mentre il remake americano sia datato 2024: lo scenario che racconta è quanto di più attuale – e al tempo stesso profetico – si possa immaginare, un’illuminante metafora che si apre a più livelli di lettura.
SPEAK NO EVIL, HEAR NO EVIL, SEE NO EVIL
Al centro della storia il confronto tra due coppie con figli preadolescenti che si ritrovano a passare un weekend in campagna dopo una superficiale amicizia nata in vacanza:
la prima una coppia cittadina (di Copenaghen nella versione originale del 2022 diretta da Christian Tafdrup, di Londra ma con nazionalità americana nella versione del 2024 diretta da James Watkins) borghese, educata e riservata;
la seconda una coppia che vive in campagna (olandese nel film del 2022, inglese nel remake del 2024) decisamente informale, estroversa e a tratti sfacciata.
Insomma due coppie agli antipodi per approccio alla vita e alla genitorialità.
“Declinare l’invito potrebbero risultare maleducato” (Speak no Evil)
L’invito in campagna si rivelerà una trappola per l’educata coppia di città, e nonostante il film europeo e il suo remake americano abbiano dei finali molto diversi, il nucleo di entrambi i film resta lo stesso.
A prima vista infatti “Speak no evil” può sembrare un film con una presa di posizione molto chiara contro quell’umanità cosiddetta “woke” che nel nome del politicamente corretto e della buona educazione finisce con l’annientare sé stessa, una politica del “Non parlare male” che si ritorcerà contro i loro stessi promotori.
E in un certo senso lo è, se pensiamo al paradosso delle nostre democrazie che stanno autorizzando il proprio progressivo smantellamento “grazie” a un voto popolare sempre più orientato all’elezione di corrotti oligarchi e dichiarati neo-fascisti.
Ma ad un secondo livello di lettura la condanna dell’educata coppia di città sembra andare oltre il revanscismo della nuova ideologia anti – woke.
La coppia di città sembra infatti incarnare un’umanità anestetizzata dal suo stesso mediocre benessere e soffocata emotivamente dall’ipocrisia, per la quale un weekend con una coppia semi-sconosciuta rappresenta il massimo della trasgressione e l’attenzione al cibo (una dieta vegetariana che include il pesce “perché pesca e allevamenti ittici incidono meno sull’ambiente”) il massimo dell’impegno “politico”.
Un’umanità talmente rinchiusa nel suo piccolo “orticello” da aver rimosso nel nome dei figli e del quieto vivere ogni volontà di azione e cambiamento.
“Sono quello che non voglio essere: solo un tizio che si alza la mattina e porta sua figlia a scuola, gioca a squash una volta a settimana e va a cena con persone che nemmeno gli piacciono. Sono davvero stanco di sorridere sempre” (Speak no Evil)
Chiave della storia è infatti la fascinazione esercitata dal rude alter ego campagnolo sul suo timido ospite di città che, a dispetto dei molteplici segnali disturbanti e delle continue richieste di fuga da parte della moglie, come una falena attratta dalla luce fino a restarne fulminata si ostina a “restare nella trappola”.
Il primo sembra infatti rappresentare tutto ciò che il secondo non è: un uomo che esprime con orgoglio pulsioni, rabbia, desideri e volontà dunque libero da ogni convenzione, “perbenismo” e, di conseguenza, responsabilità sociale.
Ed è impossibile non pensare ad alcune figure chiave della politica nazionale e internazionale che con la loro sbandierata comunicazione “de panza” e senza filtri sono diventate modelli da seguire per chi cerca di facili risposte alla propria frustrazione, repressione, insignificanza.
LE VITTIME
“Perché non fa niente? Questa può essere una reazione umana naturale, non per tutti ma per molti di noi. Non ci aspettiamo di essere uccisi. È così che le persone ci ingannano e i dittatori arrivano al potere; permettiamo loro di ingannarci per troppo tempo”
racconta il regista Tarfdrup.
E qui torniamo al nucleo del film: la responsabilità degli adulti verso i propri figli, le future generazioni.
Se infatti la versione USA di “Speak no evil” nella sua seconda parte si trasforma in un survival movie quasi a lieto fine (sono americani, dopotutto :), la versione europea si chiude con una condanna senza possibilità di appello al mondo adulto, colpevole di essere a tal punto anestetizzato dalla propria passiva accettazione dello stato delle cose da non rendersi nemmeno conto di star sacrificando i suoi stessi figli, usati come esca e trasformati in vittime mute (grande metafora) della tragedia.
BOLLITI DAI LIKE
“abbiamo perso la capacità di trovare la strada, abbiamo demandato tutto alla tecnologia” (Speak no Evil)
Stiamo permettendo l’orrore di Gaza, dove gli obiettivi ormai sono scuole, ospedali e perfino i punti di distribuzione del cibo;
stiamo permettendo il decreto sicurezza, che per Human Right Watch rappresenta “il più grave attacco alla libertà di protesta degli ultimi decenni” e va a colpire, tra gli altri, anche tutti i giovani attivisti delle organizzazioni per l’ambiente e i diritti umani
stiamo permettendo ad un manipolo di multimiliardari e capi di stato di decidere le sorti dell’intero pianeta, oggi sulla soglia di una terza e presumibilmente ultima guerra mondiale.
Tutto questo delegando il nostro “impegno” ad un like sui social o a una firma su Change.org mentre le manifestazioni si svuotano e tracolla l’affluenza al voto, ovunque.
Responsabilità anche della politica, certo, sempre più incapace di rappresentare visioni alternative a quelle di un sistema che pare un destino ineluttabile, ma colpa anche nostra, che aspettiamo come rane in pentola la bollitura.
E intanto il mondo va a fuoco.
PS
L’8 e il 9 giugno c’è un referendum necessario, non solo per quanto riguarda la tutela e dignità del lavoro ma anche per abbreviare l’iter di cittadinanza per lavoratori e seconde generazioni “colpevoli” di non avere sangue italiano.
Vediamo di darci una mossa.
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Bellissimo Martina!